127 Ore (2011), di Danny Boyle

Luca Buccella 27 Giugno 2011 0
127 Ore (2011), di Danny Boyle

127oreBlue John Canyon, Utah, Aprile 2003: lo scalatore Aron Ralston precipita lungo una parete di roccia. Il suo braccio destro è rimasto schiacciato e bloccato da un grosso masso dal peso di 400 chili, che gli impedisce ogni movimento. Aron rimarrà nel canyon per 127 ore, arrivando a prendere una drastica decisione pur di sopravvivere.

Il regista premio Oscar Danny Boyle e il suo sceneggiatore Simon Beaufoy si sono ispirati a questa vera storia di sopravvivenza e forza di volontà per mettere in scena una pellicola frenetica e nervosa. Nonostante l’ambientazione statica che sembrerebbe impedire ogni guizzo artistico, il team dietro al film è riuscito a trasformare il tutto in “an action movie with a guy who can’t move“. Merito anche della titanica performance di James Franco, che riesce a rappresentare perfettamente uno scavezzacollo come Ralston, che anche dopo la drammatica esperienza nel canyon non ha mai smesso di praticare escursionismo. Una prova aiutata anche dal fatto che il protagonista si trova da solo durante quasi tutto il film, a parte i quindici minuti iniziali in cui Aron incontra due belle escursioniste (interpretate dalle splendide Kate Mara e Amber Tamblyn) e qualche rapido flashback che gli ricorda le persone importanti della sua vita. E’ molto efficace in questo senso la sequenza dei titoli di testa, che si concentra su folle di fedeli in preghiera, eventi sportivi in stadi ricolmi di pubblico, strade cittadine traboccanti di persone: è fortissimo così il contrasto con la totale solitudine in cui Ralston si troverà poi. Con un solo attore su cui concentrarsi, la regia è libera di girare intorno a Franco, inquadrarlo di volta in volta in primi piani ravvicinatissimi, inscrivendolo in efficaci split screen o coinvolgendolo in piani sequenza elaborati. Tutti procedimenti resi più semplici dall’aver ricreato la spelonca rocciosa in un teatro di posa (in maniera davvero molto realistico), rendendo così molto più semplici gli spostamenti di macchina.

Il film descrive un mondo di percezioni, tutto è vissuto attraverso gli occhi del protagonista, dall’inizio alla fine. Funziona ottimamente l’intuizione di riprendere parte delle scene attraverso la telecamera digitale di cui Ralston/Franco è munito: unico strumento per mantenere almeno in parte il contatto col mondo, per raccontarsi, per vivere la propria esperienza attraverso un doppio punto di vista: ciò che è visto con i suoi occhi e ciò che la telecamera riprende con esasperato realismo. Fotografia ed effetti sonori contribuiscono a renderci partecipi dell’Esperienza, che diventa percezione fisica e visiva anche per il pubblico. Vanno lodati i due direttori della fotografia Anthony Mandle ed Enrique Cheriak, sia per come riescono a riprendere paesaggi da mozzare il fiato, che per la maestria con cui dipingono immagini più intime e circoscritte, ed il montaggio frenetico di Jon Harris. La musica di Rahman è efficace, anche se spesso le canzoni scelte risultano molto fuori posto: in questo campo sarebbe stato meglio effettuare scelte più sobrie, visto che spesso si rischia di tirare fuori lo spettatore facendogli ricordare di stare assistendo ad un film.

127 Ore è un film davvero grandioso, era impresa ardua rendere entusiasmante una storia così ed il risultato è davvero dei migliori. Non una storia da shock facile, ma una celebrazione della vita e della volontà di sopravvivere tentando il tutto per tutto.

Luca Buccella

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