Un gelido inverno – Winter’s Bone (2010), di Debra Granik

Luca Buccella 5 Marzo 2011 0
Un gelido inverno – Winter’s Bone (2010), di Debra Granik

WINTERS BONE 1SHT.inddUn certo tipo di cinema americano mainstream ci ha abituati a vedere gli Stati Uniti d’America con un alone patinato e glamour, un paese popolato di bellissimi e bellissime, in cui la cosa più importante è riuscire a realizzare i propri sogni. In questo contesto sono dunque ben accette pellicole che mettono in scena senza compromessi una realtà che a molti potrà sembrare fuori dal mondo, ma che non è per nulla lontana dalla verità.

Winter’s Bone è dunque un raro esemplare di film che vuole rappresentare senza compromessi un’America diversa, di cui maschilismo, violenza e prevaricazione sono le principali componenti. Una violenza che si traduce nei discorsi dei protagonisti, ammantati di una conflittualità crescente, in cui gli sguardi e i gesti dicono più di mille parole. Un mondo in cui le donne vengono lasciate sole a badare a casa, figli e bestiame mentre i mariti si strafanno, spacciano droga e le abbandonano non appena le prime rughe iniziano a comparire sui loro volti.

Una sorta di noir contadino visto dagli occhi di Ree Dolly, diciassettenne che vive con una madre catatonica e ha sulle sue spalle i piccoli fratelli. E’ alla disperata ricerca del padre, uno spacciatore di metanfetamine scomparso dopo aver impegnato la casa di famiglia per pagare la sua cauzione. Forse solo una regista come Debra Granik poteva riuscire a mostrare il personaggio nella sua autentica luce: una ragazza forte che non si fa mettere i piedi in testa, ma mai insopportabile maschiaccio e anzi dotata di una femminilità che potremmo definire guerriera.

Ree è una ragazza decisa e inarrestabile quando si tratta di dover difendere la sua famiglia, una giovanissima donna che è stata costretta ad abbandonare troppo presto l’infanzia, come sicuramente dovrà succedere anche ai fratelli a cui lei fa in tutto e per tutto da madre. Molto belle ed esplicative le due sequenze in cui Ree insegna loro a cacciare, a scuoiare e cucinare degli scoiattoli. Come in un tempo primitivo non ancora dimenticato, la giovane adulta trasmette la sua conoscenza ai più piccoli, consapevole che presto anche loro dovranno abbandonare giocattoli e spensieratezza per diventare adulti.

L’interpretazione della ventenne Jennifer Lawrence è senza mezzi termini una delle migliori degli ultimi dieci anni, intensa ma mai eccessiva (oggi, in cui si tendono a dare premi ad interpretazioni sempre più estreme, la ritengo una qualità da non sottovalutare), con un’espressività controllatissima: i suoi splendidi occhi azzurri lasciano immaginare in ogni istante i mille pensieri che si affollano nella sua mente, tanto che sembra quasi di leggere un libro. Entriamo nel mondo e nella testa della protagonista attraverso le espressioni dell’interprete invece che con un banale voice over.

Nella fondamentale scena del colloquio con il militare responsabile delle iscrizioni per l’esercito, a cui Ree vorrebbe unirsi col fine di ottenere soldi per salvare la sua famiglia dalla rovina, percepiamo e sentiamo tutti i dubbi e le paure che si celano dentro di lei, ogni dubbio e ogni speranza che crolla come un castello di carte a ogni parola del suo interlocutore. Per non parlare del climax finale sul lago, semplicemente da brividi. Anche qui, enorme dolore trasmesso attraverso una gamma di espressioni molto ridotta.

I coprimari non sono allo stesso livello, a parte forse John Hawkes nei panni del complesso e tormentato zio Teardrop, ma ognuno di essi mostra una naturalezza invidiabile e degna di lode. Così come merita una lode il make up praticamente assente, in modo da evidenziare e incorniciare ancora di più i volti reali dei personaggi, una cosa che molte pellicole oggi dimenticano.

La livida e gelida fotografia fornisce al tutto la cornice ideale, e la scenografia è quasi apocalittica nella sua devastazione e nel suo squallore. Sembra quasi uscita da un film post-nucleare alla The Road, e invece riproduce fedelmente lo stile di vita dell’altopiano di Ozark, Missouri. Il film è girato nelle autentiche case degli abitanti di quella zona, e molti hanno addirittura prestato i loro vestiti agli interpreti.

Come The Messenger o Blue Valentine, Winter’s Bone è pura cinematografia indipendente, capace di stupire, incantare e colpire direttamente allo stomaco. Una delle più alte vette del cinema del nuovo millennio, un’opera toccante, impressionante, reale.

Luca Buccella

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