Child of God (2013), di James Franco

Luca Buccella 9 Settembre 2013 0
Child of God (2013), di James Franco

1294567_10200814545472001_278009259_oLo scopo che James Franco si è prefissato con la sua nuova opera registica – tratta dal terzo romanzo di Cormac McCarthy – sembra essere soltanto uno: sconvolgere il pubblico, e in particolare proprio le platee festivaliere. D’altronde, difficile trovare un soggetto più adatto a creare controversie come la storia di un giovane uomo mentalmente instabile ritiratosi a vita privata nei boschi del Mississipi, che lentamente si distacca dalla realtà scivolando in un abisso di passatempi quali stupro, necrofilia e omicidi.

Child of God presenta dunque tutte le caratteristiche della classica opera controversa da festival ma manca di quella più importante, ossia la capacità di provocare un reale shock emotivo nello spettatore. Nel tratteggiare il suo ritratto dell’umana follia, Franco non riesce ad arrivare al nocciolo della questione o a operare un vero e proprio scavo nello squilibrato personaggio di Lester Ballard – un intenso Scott Haze -, confezionando un film posticcio e costruito che vorrebbe essere spiazzante ma, al massimo, riesce solo a provocare disgusto.

Con un protagonista la cui indagine rimane approfondita solo in superficie, il film non raggiunge il giusto grado di empatia con il suo pubblico e così non coinvolge, risultando freddo e quasi pigro nella sua mancanza di senso. A ciò si aggiungono un montaggio privo di qualsiasi senso del ritmo (che abusa senza ritegno di dissolvenze), e una sceneggiatura scarna che non è in grado di trovare il giusto equilibrio narrativo. Tra gli elementi migliori della pellicola, si possono annoverare una buona fotografia realista – curata da Christina Voros – e un’atmosferica colonna sonora bluegrass firmata da Ethan Embry, che riesce a catturare in pieno lo spirito del deep South in cui il film si ambienta.

Gli elementi citati non bastano però a compensare i tanti difetti di Child of God, a conti fatti un prodotto insicuro della sua identità e del suo scopo finale. Peccato, poiché le suggestioni adatte a dipingere un inquietante affresco psicologico non mancavano di certo: forse, sarebbe bastato un regista più esperto e meno interessato a inseguire lo shock a tutti i costi.

Ancora ignota la data di uscita italiana.

La recensione è apparsa originariamente su:

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Luca Buccella

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