Drive (2011), di Nicholas Winding Refn

Luca Buccella 30 Settembre 2011 0
Drive (2011), di Nicholas Winding Refn

drive

Sentendo parlare di Drive, verrebbe automatico archiviarlo come uno dei tanti film con macchine veloci ed esplosioni. Basterebbe però conoscere il nome del regista Nicholas Winding Refn per rendersi che non si tratta del solito blockbuster. Anzi, non si tratta proprio di un blockbuster. Tratto dal romanzo di James Sallis, Drive ci assorbe fin da subito nella sua atmosfera, grazie a una fotografia dai toni onirici, a una preponderante estetica anni ’80, e a una colonna sonora lisergica in cui abbondano synth e cori angelici.

Le vicende del Driver senza nome interpretato da Ryan Gosling, di giorno stunt, di notte autista da rapina (un ruolo che negli anni ’70 sarebbe stato affidato a Steve McQueen) conquistano subito per la loro semplicità: osserviamo un uomo solo e con problemi nel relazionarsi col prossimo che si avvicina lentamente ad Irene, una giovane donna il cui marito è in galera, e a suo figlio Benicio, e affezionarsi lentamente a loro, un avvicinamento gestito con grazia e silenzi espressivi. Quando Standard, il marito di Irene, esce di galera, Driver decide di aiutarlo: l’uomo ha bisogno di soldi per pagare un debito contratto in prigione. Ma la situazione degenera…

Drive è un film che dalla trama potrebbe apparire banale: impressione che viene smontata fin dall’inizio. I personaggi sono reali, credibili, stratificati. Gosling riesce a caratterizzare il protagonista con un’interpretazione volutamente inespressiva e “sotto alle righe”, che riesce a comunicare molto: Driver potrebbe apparire come un solitario dal cuore d’oro, ma nasconde dentro di sé una violenza che aspetta solo di esplodere, e quando lo fa si mostra in tutta la sua furia, trasformandolo in un inarrestabile angelo della morte. Così come anche l’Irene interpretata da Carey Mulligan nasconde tante ferite dietro alla sua dolcezza, e in generale ogni stereotipo presente nel film si svela solo come la scorza che cela i protagonisti. Grande attenzione è riservata ai personaggi secondari: è impossibile non compatire Bryan Cranston nei panni del mentore Shannon, un uomo sceso a molti compromessi, mentre Oscar Isaac rifugge dal cliché del marito violento e criminale, riuscendo a rappresentare Standard come un personaggio positivo, che ha avuto solo la sfortuna di trovarsi nei posti sbagliati ai momenti sbagliati. E quando si hanno grandi caratteristi come Albert Brooks e Ron Perlman, i “cattivi” non sembrano i soliti mafiosi da fumetto.

Dietro un’estetica sognante e retrò, Drive nasconde un mondo malato e violento: un mondo di carne, sangue e sudore, in cui non ci si può fidare di nessuno se non di sé stessi. E in cui un personaggio come Driver, pur con tutte le sue contraddizioni, appare l’unico real hero, come recita la bella canzone dei College che fa da sottofondo al finale.

Luca Buccella

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