Con circa 33 tra film, serie tv e sceneggiati, I Tre Moschettieri si qualifica come uno dei classici più adattati di sempre, ed in questo periodo in cui Hollywood sta saccheggiando romanzi del passato per riproporli come film d’azione (Sherlock Holmes è l’esempio più recente) era più che scontata un’altra trasposizione del celebre romanzo d’appendice di Alexandre Dumas.
Ad occuparsene stavolta, in veste di produttore e regista, è Paul W.S. Anderson, specialista di film-videogame come Resident Evil. L’influenza dei videogiochi si fa infatti sentire pesantemente anche in questo I Tre Moschettieri, come anche quella di recenti saghe d’avventura come Pirati dei Caraibi e persino dei film di 007, passando per eccessi che vorrebbero sembrare tarantiniani ma ricordano più un malriuscito cartoon DreamWorks. Contribuisce la pomposa ed invadente colonna sonora di Paul Haslinger, che pesca a piene mani da tutti gli influssi sopraccitati.
Il cast alterna scelte azzeccate ad altre che fanno tremare i polsi: l’Athos di Matthew McFadyen risulta apatico e poco interessante, mentre Luke Evans e Ray Stevenson forniscono delle buone prove come Aramis e Porthos. L’idolo delle teenager Logan Lerman interpreta un D’Artagnan più monodimensionale che mai: un giovane orgoglioso che agisce senza particolari motivazioni e non ha nessuna evoluzione. La Jovovich è tutta smorfie e sorrisetti nei panni di Milady, ma chi provoca più sofferenze è Christoph Waltz: il solitamente ottimo attore austriaco pare quasi svuotato nella parte di un Richelieu spentissimo e privo di carisma, tanto che verrebbe quasi da sperare in una versione più eccessiva. Speranza che svanisce una volta visto il trattamento caricaturale riservato al Re di Francia, sorta di pavone ballerino che chiede a D’Artagnan consigli di cuore.
Purtroppo gli sceneggiatori Davies e Litvak sembrano convinti che basti delineare i tratti salienti dei protagonisti in un rapido prologo espositivo per compensare un film intero in cui il loro approfondimento è totalmente trascurato. Non c’è un momento in cui i nostri eroi si trovino di fronte ad una minaccia credibile: d’accordo con la spensieratezza e la consapevolezza dei propri limiti, ma così si esagera, facendo sì che lo spettatore si disinteressi totalmente delle loro sorti.
In definitiva, la pellicola è talmente soffocata dal suo prepotente stile visivo e dai marchingegni steampunk che la popolano, tra navi volanti e cannoni a ripetizione, da arrivare a crollare totalmente sotto il suo debordante peso, complici scenografie che paiono ritagliate da un libro pop-up, costumi eccessivi e coloratissimi, scene d’azione gestite male, in cui solo i duelli all’arma bianca sembrano ben coreografati, e un finale privo di climax. Un film pieno di personaggi, ma lungo tutta la sua durata c’è solo un protagonista a cui Anderson e i suoi sembrano essere interessati: le anacronistiche aereonavi da battaglia tanto celebrate nei vari trailers. Peccato che interessino solo a loro.
La recensione è apparsa originariamente su:
Luca Buccella