La Casa (2013), di Fede Alvarez

Luca Buccella 9 Maggio 2013 0
La Casa (2013), di Fede Alvarez

evil-dead_coverQuando fu annunciato che La Casa, il classico del gore firmato da Sam Raimi nel 1981, avrebbe rimpolpato le fila (non certo esigue) dei rifacimenti di film horror del passato, le perplessità non sono mancate. Si temeva di assistere per l’ennesima volta ad una copia carbone dell’originale, con ricchi adolescenti annoiati in balìa del demone di turno e subitanei sbalzi di volume in Dolby Surround come unica fonte di brivido. Ebbene, forse grazie al coinvolgimento degli stessi Sam Raimi e Bruce Campbell in produzione, stavolta il risultato è non solo un remake riuscito, ma anche uno dei migliori horror visti in tempi recenti.

Il giovane regista uruguayano Fede Alvarez rielabora il materiale in maniera personalissima, facendo emergere nuovi elementi tematici e riuscendo a dare un senso all’operazione di rifacimento. Per fare ciò, accantona completamente la vena slapstick assunta nel secondo e nel terzo episodio della saga raimiana per tornare all’orrore puro del film originale, aumentando esponenzialmente anche il contenuto di splatter presente. Il risultato è un vortice spietato di emozioni sanguigne, dotato di un’atmosfera tesa e malata che non dà un minuto di tregua. La robusta regia di Alvarez riesce a mettere in scena momenti di terrore puro che restano impressi, e a gestire sapientemente sequenze impressionanti sia per la carica emotiva sia per le acute trovate visive.  Ma La Casa deve la sua riuscita in larga parte anche all’efficace sceneggiatura, firmata da Alvarez in collaborazione con Rodo Sayagues (e revisionata da Diablo Cody): un copione per nulla innovativo ma dalla solida struttura, in cui ogni elemento è al suo posto e le decisioni dei protagonisti non appaiono forzate. I personaggi subiscono sofferenze della peggior specie ma vengono trattati con rispetto in fase di scrittura: ci si affeziona a loro in maniera sentita, niente a che vedere con la carne da macello, senza alcuna personalità, che ormai infesta il genere.

Laddove la saga di Raimi era dominata dal carisma tragicomico di Ash, Alvarez trova la sua protagonista assoluta nella Mia di Jane Levy: la giovane attrice riesce a interpretare in maniera convincente i molteplici lati del suo personaggio, regalando una figura femminile forte e dall’anima ferita, che ha conosciuto l’oscurità e dunque è l’unica in grado di affrontarla. Nei panni di suo fratello, Shiloh Fernandez è meno convincente ma funzionale: il complesso rapporto tra Mia e David è il cuore affettivo del film e lo riempie di senso, marcando il maggior punto di distacco nei confronti dell’originale. Molto credibile anche Lou Taylor Pucci nei panni dello studioso del gruppo, quasi una voce della ragione che esprime le preoccupazioni del pubblico.

Contribuiscono a dare pathos alla notte da incubo l’intensa colonna sonora di Roque Baños e l’atmosferica fotografia di Aron Morton, per nulla patinata come nel caso di molti remake recenti. Nel mare di horror hollywoodiani anestetizzati e senz’anima, La Casa di Fede Alvarez sembra risplendere di luce propria. Ora la speranza è che il successo del film non porti ad un sequel: la scommessa è stata vinta, ma non è il caso di strafare.

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