Léon (1994), di Luc Besson

Supremo 22 Agosto 2013 0
Léon (1994), di Luc Besson

leonEsordio di Luc Besson negli Stati Uniti, Léon fa parte del periodo più fortunato del regista parigino, iniziato con Nikita (1991) e terminato con Giovanna D’Arco (1997).

Considerato una sorta di secondo capitolo di Nikita trasportato nei sobborghi metropolitani di New York, Léon in realtà è molto di più. Besson traccia una stupenda unione tra due emarginati sociali: Jean Reno nei panni del sicario Léon, che a prima vista sembra uno spin-off del personaggio di Victor l’eliminatore visto in Nikita, e una sorprendente Natalie Portman – che a soli 13 anni risulta essere una degli esordienti più convincenti nella storia del cinema – in quelli di Mathilda .

La storia vede protagonista la dodicenne Mathilda (Portman) che, rimasta orfana e senza fratello per mano di Stansfield (Gary Oldman), uno spietato e psicotico poliziotto della narcotici, chiede aiuto per vendicarsi a Léon, un sicario professionista per conto della mafia italiana.

Il film divide i suoi personaggi tra chi ha scelto di vivere contro la legge ma mantenendo un codice d’onore (“niente donne e bambini”), e chi invece apparentemente incarna le regole ma non le rispetta, operando abusi di potere e compiendo veri e propri massacri: una realtà, quella della polizia di New York, ampiamente  sdoganata nel cinema, ma dipinta da Besson unicamente di nero, con il suo consueto stile senza speranza e crudo.

Il film è una sonora critica allo stato sociale,  dove chi vive fuori legge è in realtà l’ultimo baluardo della speranza e dei buoni sentimenti, amplificati dal legame puro e sincero tra Mathilda e Léon, dove non ci sono gerarchie nè regole – ognuno dei due è per l’altro qualunque cosa – mentre Stansfield rappresenta lo stato ormai in delirio, pieno di contraddizioni, costretto a scendere a patti con la criminalità per sopravvivere in un sistema senza freni. Besson impreziosisce la pellicola con alcune citazioni cinematografiche: in particolare possiamo notare Gloria di John Cassavetes, in cui un ragazzo la cui famiglia è stata sterminata viene raccolto dal vicino allo stesso modo di Mathilda; Arancia Meccanica di Stanley Kubrick, il cui protagonista uccide sentendo Beethoveen proprio come Stansfield; Il Silenzio degli Innocenti di Jonathan Demme, in cui, come Léon, Lecter ruba una divisa di un poliziotto facendo finta di essere ferito; mentre la pianta di cui Léon si prende cura richiama direttamente Frank Costello faccia d’angelo di Jean-Pierre Melville.

Girato con la solita buona tecnica graffiante di Besson che, curando tutto nei minimi dettagli – dal peluche di Mathilda alla mitica resa dei conti tra Léon e l’intero dipartimento della D.E.A – e rendendo i protagonisti il più delle volte delle caricature fumettistiche, dipinge New York con il distacco di un regista straniero, riuscendo a portare il suo stile freddo all’interno della pura e anticonvenzionale storia d’amore tra Léon e Mathilda.

Marco Rudel

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