A New York c’è in giro un assassino abile a squartare con un coltello donne libertine e di bell’aspetto: unico indizio è la voce – un’imitazione del Paperino disneyano – che assume durante le uccisioni e soprattutto nelle telefonate di sfida effettuate al tenente Fred Williams (Jack Hedley) per avvertirlo che ucciderà ancora. Il tenente, a fronte dell’ennesima ragazza squartata viva, decide di rivolgersi allo psichiatra Paul Davis (Paolo Malco) per redigere un profilo psichiatrico del serial killer. Una sera una giovane (Almanta Keller) viene assalita dal maniaco, ma riesce a fuggire: dopo aver accumulato varie prove, Williams è vicinissimo alla cattura dell’assassino, ma l’intuito del Dr. Davis gli suggerisce che qualcosa non quadra, e che l’omicida colpirà ancora indisturbato.
Lucio Fulci realizza forse lo slasher/giallo più crudo ed esplicito della sua carriera. Il regista dipinge una New York marcia, schiava del consumismo e della droga: di notte gente di qualsiasi ceto sociale e di entrambi i sessi si spoglia (anche letteralmente) dei propri abiti usuali per dare libero sfogo alle fantasie.
Lo sguardo di Fulci si concentra da una parte nel mettere in risalto le contraddizioni del mondo borghese, perbenista di giorno e trasgressivo di notte, dall’altra nel dipingere la follia dell’individuo tranquillo, invisibile nella grande metropoli newyorkese: follia che non disdegna di essere protagonista una volta messa in moto una catena di delitti, innescati da un movente che, come sempre, nasce da una sofferenza interiore. Tutto questo lo evince dalle esplicite scene di sesso perverso, e dalle truculenti sequenze splatter che riescono benissimo a disturbare lo spettatore, mettendolo alla prova nel passaggio dall’erotismo alla violenza.
La sceneggiatura è un impasto a più mani: inizialmente fu affidata a Gianfranco Clerici e Vincenzo Mannino, ma per volontà della produzione fu incluso nella sceneggiatura anche Dardano Sacchetti, al quale si aggiunse poi lo stesso Lucio Fulci. Il risultato finale appare infatti molto caotico: se lo stile del regista è improntato a svelare elementi che poi risulteranno decisivi (tecnica presente anche in alcuni film di Dario Argento, dove la soluzione del mistero è presente in scena) la sceneggiatura non sembra altrettanto convinta in tal senso.
Solo verso il finale si ristabilisce una buona tensione e quello che era in partenza scontato sembra essere messo in discussione; ma la delusione si completa quando il finale non è di rottura come si sperava che fosse. Buoni alcuni personaggi del film: il dottor Paul Davis è il prototipo dello scienziato freddo, che come un abile scacchista conosce tutti gli schemi della mente, lasciando però intravedere il suo lato umano e perverso, a conferma del desiderio di Fulci di liberare dai dogmi della società calvinista le figure più influenti. Il tenente Fred Williams invece è la rappresentazione del poliziotto vecchio stampo, che inorridito dai raccapriccianti delitti vuole porre fine alla carriera dello squartatore: ma anche lui nasconde degli scheletri nell’armadio scomodi per l’istituzione che rappresenta.
Le ambientazioni soddisfano lo spettatore, il quale percepisce tutta la freddezza di una grande metropoli che di fronte ai drammi umani non ha tempo di voltarsi o e domandarsi il perchè. Girato a metà fra New York e Roma, il film riesce a mostrare il mondo a parte che si cela dietro ogni angolo della Grande Mela.
Nel complesso, Lo squartatore di New York possiede un’unità coerente. Stroncato dalla critica dell’epoca, che lo definì un mero prodotto mirato a soddisfare le voglie erotiche del pubblico, e accusato di fare l’occhiolino agli slasher statunitensi in voga in quel periodo (uno su tutti Halloween), con gli anni è stato rivalutato ed è ora considerato uno degli ultimi gialli all’italiana degni di nota.
Marco Rudel