Noah (2014), di Darren Aronofsky

Luca Buccella 11 Aprile 2014 0
Noah (2014), di Darren Aronofsky

noè

Dopo la caduta di Adamo ed Eva, il genere umano è diviso tra la pacifica stirpe di Set e i discendenti di Caino, guerrafondai e portatori di distruzione. Il giovane Noè (Russell Crowe), ultimo successore della linea di Set, vede suo padre Lamech morire per mano del violento sovrano Tubal-Cain (Ray Winstone). Da adulto, un sogno gli comunica la volontà del Creatore di distruggere l’umanità con un colossale diluvio: spetterà a Noè il compito di costruire un’arca in cui imbarcare tutti gli animali. Aiutato dai Guardiani, angeli caduti maledetti dal Creatore, e dalla sua famiglia – la moglie Naameh (Jennifer Connelly), i figli Sem (Douglas Booth), Cam (Logan Lerman) e Jafet (Leo McHugh-Carroll), e la figlia adottiva Ila (Emma Watson) – Noè dovrà lottare contro la malvagità della stirpe di Caino, e, più tardi, con i suoi stessi impulsi autodistruttivi.

Realizzare un film su uno dei capitoli più noti e criptici della Bibbia, riuscendo al contempo a portare avanti una propria visione, non era un’impresa semplice, ma Darren Aronofsky vince la scommessa, girando una pellicola personalissima con il budget di un blockbuster. La mitologia ebraica viene raccontata con un linguaggio da epopea fantasy, che ibrida filosofie new age, veganismo ed evoluzionismo teista: il mondo apocalittico in cui si muove Noè, tra animali preistorici e città industriali in rovina, sembra contenere nella sua devastazione il passato e il futuro della Terra, sospesa in un ciclo continuo di purificazione e rinascita.

Una ricchezza tematica sorretta da uno script pericolante e a tratti grossolano, firmato dal regista insieme a Ari Handel, che rischia spesso di crollare sotto il peso titanico del film. I due autori riescono però a non perdere di vista il centro dell’opera: il dramma intimo celato in Noè – un Russell Crowe convincente nel delineare i contrasti del suo personaggio –, un uomo psicologicamente soverchiato dal terribile compito che il Creatore gli ha assegnato. Nel mostrare una mente incapace di contenere il divino e le sue contraddizioni, Noah richiama visibilmente π – Il teorema del delirio, ma anche Requiem for a Dream, The Wrestler e Il Cigno Nero, i cui protagonisti venivano allo stesso modo soffocati dalle proprie ossessioni.

Rispetto al racconto biblico, la moglie del patriarca acquista un ruolo e un nome: Naameh – Jennifer Connelly, delicatamente espressiva – rappresenta il libero arbitrio in contrasto alla cieca ubbidienza divina, in una storia che sembra quasi volerci mettere in guardia contro gli integralismi religiosi. Nei panni di Tubal-Cain, Ray Winstone incarna un uomo governato da istinti e passioni terrene: una figura poco approfondita, ma comunque piuttosto interessante nella sua rabbia disperata contro il Creatore, colpevole di aver abbandonato l’umanità al suo destino.

Aronofsky si dimostra poco avvezzo a gestire una mole così vasta di protagonisti, e il problema non passa inosservato. I personaggi di Sem, Cam e Ila servono esclusivamente per richiamare il pubblico adolescenziale, e la scelta degli interpreti lo dimostra: Douglas Booth ed Emma Watson appaiono spaesati e fuori luogo, mentre Logan Lerman cerca di dare il meglio nel delineare il sofferto percorso di Cam, riuscendoci solo a tratti. Meglio tralasciare del tutto il ridicolo “stregone” Matusalemme, che neppure Anthony Hopkins è in grado di rendere credibile.

Le caratteristiche stilistiche del cinema di Aronofsky sono tutte presenti, dal montaggio rapido e sincopato di Andrew Weisblum, pieno di scelte espressive intriganti, alla fotografia sgranata e attenta ai dettagli di Matthew Libatique, fino alla colonna sonora elettronica-orchestrale di Clint Mansell. Il risultato è un prodotto ricco di personalità, ma anche anticommerciale, eccessivo e spesso squilibrato: un kolossal dotato di una carica visionaria ed evocativa che non può lasciare indifferenti.

Il film è uscito nelle sale italiane giovedì 10 aprile 2014.

Luca Buccella

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