Rusty il selvaggio (1983), di Francis Ford Coppola

Luca Buccella 1 Giugno 2014 0
Rusty il selvaggio (1983), di Francis Ford Coppola

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Il rumble fish, anche noto come Betta splendens, è un pesce siamese noto per la sua aggressiva territorialità. In un acquario, due pesci maschi di questa specie si ucciderebbero a vicenda in brevissimo tempo. Rumble Fish è anche il titolo di questo film (banalmente tradotto in terra italica con Rusty il selvaggio), girato da Francis Ford Coppola nel 1983, e ispirato al romanzo di S.E. Hinton, autrice di I ragazzi della 56a strada (anch’esso trasformato in film da Coppola nel medesimo anno). Se quest’ultimo si qualifica come semplice e fin troppo nostalgico dramma giovanile, Rumble Fish è invece un opera complessa ed espressiva, in grado di racchiudere in sé l’eterno dramma della gioventù bruciata senza risultare ricattatorio.

Rusty (Matt Dillon) è un adolescente sbandato, il quale rimpiange un periodo che non ho mai vissuto, quello delle guerre fra bande in un’Età dell’Oro non ancora inquinata dall’eroina. Il suo più grande sogno, nonché la sua unica aspirazione, è essere come il mitologico fratello maggiore, The Motorcycle Boy (Mickey Rourke), che proprio di una banda era l’indiscusso e amatissimo leader. Quest’ultimo è appena uscito di galera e ora si aggira senza meta come un Dio caduto, stufo di essere idolatrato e ridotto all’ombra di se stesso, uno stato d’animo che Rusty, così voglioso di essere amato, non riesce proprio a comprendere.

Al centro di Rumble Fish vi è l’eterna ed instancabile ricerca di se stessi alla scoperta della propria autentica natura, ma soprattutto la lotta interiore che si svolge nel frattempo. Rusty cerca un’identità, e ricalcare il comportamento del fratello gli sembra l’unica soluzione; mentre The Motorcycle Boy è stufo della sua immagine pubblica di “Pifferaio Magico”  e cerca di adattarsi a una vita sedentaria, ostacolato dalla tossicodipendenza. I due fratelli saranno destinati a non comprendersi mai se non nel drammatico finale, e la tagline della locandina riassume perfettamente questa dinamica: Rusty James can’t live up to his brother’s reputation. His brother can’t live it down.

La forma stessa del film è ideata per ricalcare le percezioni dei protagonisti: il B/N rappresenta il daltonismo di The Motorcycle Boy, e le uniche note di colore appaiono quando i due fratelli osservano i pesci siamesi del titolo, uniche forme a colori in un mondo grigio. Come i pesci, anche i ragazzi del quartiere si ucciderebbero in brevissimo tempo se ne avessero l’occasione. Nello stile del film si amalgamano influenze distantissime, tutte ben celate: la fotografia, la profondità di campo e i grandangoli rimandano a Orson Welles, gli ambienti lugubri e le inquadrature sghembe all’Espressionismo Tedesco. Contribuiscono all’atmosfera la discordante colonna sonora ricca di percussioni di Stewart Copeland, e i combattimenti volutamente privi di realismo, coreografati a mo’ di balletto.

Il cast presenta Matt Dillon e Mickey Rourke in interpretazioni da antologia: aggressivo, rabbioso, e infantile il primo; ferito, stordito e (un)comfortably numb il secondo. Ottimo anche Dennis Hopper come distante padre alcolista dei due. E’ interessante giocare a riconoscere giovanissimi attori che oggi figurano nel pantheon di Hollywood: da Diane Lane e Laurence Fishburne al compianto Chris Penn, per arrivare a Nicolas Cage.

Rumble Fish è uno dei migliori film di Francis Ford Coppola, e si fatica a comprendere le stroncature che ricevette alla sua uscita. Troppo poco hollywoodiano?

Luca Buccella

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