Terra, 2031. Il pianeta è avvolto da diciassette anni in un’era glaciale che ha spazzato via quasi del tutto il genere umano. I pochi superstiti si sono rifugiati nello Snowpiercer, un gigantesco treno perennemente in movimento ideato dal misterioso Wilford. Anche sul treno, la società è divisa in classi sociali: i cittadini più abbienti vivono nelle carrozze anteriori, mentre i più poveri sono relegati negli ultimi scompartimenti, soggetti alla violenza della polizia e costretti a nutrirsi di scarti. Negli anni sono esplose numerose rivolte atte a sovvertire il sistema, tutte represse duramente nel sangue: nonostante ciò, i poveri – guidati da Curtis (Chris Evans) e Gilliam (John Hurt) – sono nuovamente intenzionati a prendere il controllo della locomotiva, tentando di riuscire dove tanti hanno fallito.
Negli ultimi anni, è capitato rare volte di vedere film di fantascienza dotati di un’impronta autoriale e stilistica talmente decisiva da riuscire a restituire originalità e freschezza a schemi arrugginiti: con la sua prima opera in lingua inglese, il sudcoreano Bong Joon-Ho, regista di perle quali Memories of Murder e The Host, è riuscito nell’impresa, amalgamando la potenza catartica e implacabile della cinematografia coreana con la semplicità concettuale e la capacità di intrattenere tipiche del cinema mainstream statunitense. Bong dona un afflato epico e quasi biblico al più tipico degli intrecci del genere distopico, ossia la forza del singolo contro la violenza spersonalizzante del sistema.
“Dove sta andando l’umanità?“, è questa la domanda che il film sembra porsi con maggiore insistenza. Il treno del futuro gira a vuoto, percorre continuamente lo stesso tracciato senza fermarsi mai, congelato nell’immobilismo di classe e diretto verso il nulla: la sopravvivenza è l’unica cosa che conta, ma la vita stessa ha perso il suo senso, e allora bisogna avere il coraggio di interrompere il ciclo e ripartire da zero, sacrificandosi per il bene comune. Il sacrificio è uno dei temi principali di Snowpiercer, il mezzo definitivo per riconquistare la propria umanità e purificarsi dal male. Bong abbraccia questa ricchezza tematica ma non rinuncia all’intrattenimento, riuscendo a ibridare perfettamente le due caratteristiche senza stemperarle: gira scene d’azione impressionanti per stile e tecnica registica, impiega una satira spietata e tagliente e dona un impianto visivo unico alle vicende narrate, grazie anche alla magnifica scenografia di Ondrej Nevkasil e all’incisiva fotografia di Kyung-Pyo Hong.
Il cast è gestito altrettanto bene: Chris Evans fornisce la prova migliore della sua carriera nei panni di Curtis, protagonista imperfetto alla ricerca di redenzione, mente John Hurt dona un volto doloroso e comprensivo al vecchio Gilliam, e Tilda Swinton conferma ancora una volta il suo talento con un personaggio grottesco e caricaturale. Kang Ho-Song e la giovane Ah-Sung Ko sono gli elementi più interessanti, e come unici connazionali del regista all’interno del cast principale, incarnano i personaggi meno convenzionali e più distanti dall’ideale di cinema occidentale.
Con uno sguardo unico e inedito, Bong Joon-Ho firma una delle migliori pellicole sci-fi degli ultimi dieci anni, un film spietato e incalzante che, lanciato come un treno in corsa, non concede un attimo di tregua agli spettatori, traghettandoci in un vortice di sensazioni ed emozioni straordinarie per imprimersi negli annali del cinema di genere.
Il film arriverà nelle sale italiane il 27 febbraio 2014.
Festival Internazionale del Film di Roma 2013 – Fuori Concorso
Tutte le nostre recensioni dal Festival di Roma sono qui.
Luca Buccella