Milano Calibro 9 (1972), di Fernando Di Leo

Supremo 4 Aprile 2014 0
Milano Calibro 9 (1972), di Fernando Di Leo

milano9_jpgMilano, 1969. Una pericolosa banda criminale capeggiata dall’Americano (Lionel Stander) contrabbanda dollari statunitensi: durante uno scambio qualcosa va storto, e i corrieri incaricati di far giungere il denaro contrabbandato vengono interrogati e poi uccisi da Rocco Musco, sicario dell’Americano. L’unico corriere a sfuggire alla morte è Ugo Piazza (Gastone Moschin) che, poco tempo dopo lo scambio di denaro, viene arrestato durante una rapina. Dopo tre anni passati in carcere Piazza è un uomo libero ma un commissario di polizia (Frank Wolff) gli sta addosso, convinto che sia stato lui a intascare i soldi dello scambio: l’ipotesi è condivisa anche da Musco e dai suoi scagnozzi, che su ordine dell’Americano impongono a Ugo di collaborare con loro in attesa di qualche suo passo falso che possa condurli al denaro scomparso. Le possibilità per l’ex gangster di rifarsi una vita con la fidanzata Nelly Bordon (Barbara Bouchet) sono limitate sia da parte della legge, che non è convinta della sua redenzione, che da parte dei criminali, certi che Piazza li abbia fregati e che sia pronto a farlo ancora: a complicare il tutto ci pensa un misterioso uomo con una giacca rossa che lo pedina costantemente…

Fernando Di Leo (La mala ordina) dirige un thriller poliziesco, condito con un pizzico di noir, rimasto nella storia dei B movies italiani. La storia mette a confronto il vecchio mondo criminale, popolato da gangster con un elevato codice d’onore, con le bande degli anni Settanta, costituite da pochi elementi, che agiscono senza scrupoli dimenticando il rispetto e l’onore. La regia si concentra anche su un tema già trattato in altri polizieschi del periodo (Morte sospetta di una minorenne, Milano odia: la polizia non può sparare), ossia l’incapacità delle forze dell’ordine di arrestare la potente ondata criminale si che riversa nelle strade, spesso a causa della corruzione che persiste nelle istituzioni: di conseguenza, in Milano Calibro 9, la polizia assiste impotente alle faide tra criminali senza muovere un dito.

La sceneggiatura, scritta dallo stesso Di Leo, è ben costruita sulle caratterizzazioni dei personaggi: Ugo Piazza è l’antieroe per eccellenza, incapace di uscire dai suoi vecchi giri criminali, conservando però l’onore dei gangster di un tempo. Lo scorbutico Rocco Musco (l’ottimo Mario Adorf), sadico e impulsivo, è caratterialmente l’opposto di Piazza, ma ne ammira lo stile e aspira a diventare come lui. Un altro personaggio di spicco è Chino (Philippe Leroy), nipote del vecchio boss Don Vincenzo: un killer professionista leale e attaccato alla “famiglia” mafiosa, in cui vigono regole che non si possono infrangere. A chiudere in bellezza la carrellata dei personaggi più rappresentativi del film, c’è Nelly Bordon (Barbara Bouchet), l’ex ragazza di Ugo, che dopo l’arresto del suo uomo si ritrova a fare la ballerina in un night club e a prostituirsi occasionalmente. L’intreccio narrativo risulta molto semplice, ma l’intera vicenda è comunque impreziosita da alcuni colpi di scena che saranno determinanti per la soluzione della sciarada.

Milano Calibro 9 è considerato un cult di fama mondiale, specialmente per alcune sequenze che hanno scosso il pubblico (la lap dance di Barbara Bouchet, omaggiata da Quentin Tarantino in Grindhouse – A prova di morte) e per l’atmosfera fredda di una Milano testimone degli anni più bui delle forze dell’ordine. Ma soprattutto per aver mostrato il lato “onesto” di una certa criminalità, soppiantata dalla ferocia di un disagio sociale che produce solo violenza.

Marco Rudel

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