Skull Island, anni ’50. Una scimmia-ratto viene catturata da uno strampalato scienziato che vuole farne l’attrazione principale di uno zoo di Wellington, Nuova Zelanda. La popolazione indigena lo avverte che la scimmia è maledetta, ma il dottore non dà peso a queste credenze e viene morso dall’animale sotto gli occhi dei suoi assistenti, che non ci pensano due volte a farlo a pezzi convinti che possa trasformarsi in un essere malvagio.
Wellington. La bella e sognatrice Paquita Maria Sanchez (Diane Penalver), lavora in un negozio di alimentari ed è innamorata di Roger (Harry Sinclar), uno spaccone che lavora come addetto alla consegna. La ragazza si fa leggere le carte da sua nonna per capire se può nascere un amore, ma i tarocchi le rivelano che l’uomo del suo destino è un altro, che giungerà a breve: poco dopo, alla porta del negozio bussa Lionel Cosgrove (Timothy Balme), un ragazzo molto timido e impacciato. Tra i due scoccherà un colpo di fulmine che darà inizio a tiepida frequentazione. La possessiva madre di Lionel (Elizabeth Moody) scopre il legame tra i due e decide di seguirli allo zoo per impedire che nasca un amore: lì, l’anziana donna sarà morsa dalla scimmia-ratto. Questo piccolo incidente darà vita al film splatter più sconvolgente, disgustoso ed esilarante mai realizzato.
Terzo lungometraggio del genio che risponde al nome di Peter Jackson, icona assoluta del genere e già ospite sulle nostre pagine con Bad Taste, il quale ci stupisce ancora una pellicola pirotecnica, senza freni e senza regole, ma dotata di un perfetto equilibrio in ogni scena. Con lo stile che contraddistingue la prima parte della sua carriera (composta, oltre che da Bad Taste, anche da Meet the Feebles), Jackson attua una rivisitazione parodistica e molto personale del genere splatter, e tramite l’utilizzo di litri di sangue finto (500 in tutto) riesce a far percepire allo spettatore il significato del termine truculento. Il regista kiwi inserisce inoltre elementi di demenzialità a profusione, misti a una voglia di disgustare già ancora più cruda e ironica rispetto Bad Taste.
Sul fronte tematico Jackson mette in risalto l’influenza culturale britannica nei confronti della popolazione neozelandese, paragonando gli zombie presenti nella casa di Lionel ai colonizzatori inglesi. Vengono poi smontati senza mezzi termini gli archetipi della società – la famiglia, la religione –, ribaltando il complesso di Edipo e riducendo il sesso a una pura mercificazione della carne attraverso il connubio tra piacere erotico e cannibalismo.
La sceneggiatura – scritta da Stephen Sinclair, Peter Jackson e la sua compagna Fran Walsh – è una geniale commistione di generi: il comico-demenziale, la satira, l’horror esoterico, e addirittura la commedia romantica. Il plot ricorda molto La notte dei morti viventi di George A. Romero, ma la grande novità è che i non-morti non si comportano come normali zombie assetati di sangue e privi della ragione, ma al contrariosi trasformano nella parte più ripugnante dell’essere umano, dando sfogo alle loro perversioni e tirando fuori il lato malvagio che alberga in ognuno di noi. I dialoghi, dotati di un’ironia tagliente, riescono ad aggiungere quel pizzico di satira che rende le scene truculente degli autentici gioielli di genuina follia.
Ogni membro del cast è perfettamente in linea con il personaggio che interpreta: grazie a una grande mimica espressiva, Timothy Balme mostra una bravura unica nel calarsi in un personaggio totalmente succube della madre; Diana Penalver è esplosiva, sensuale e divertente nei panni della ragazza qualunque che sogna il grande amore; mentre Elizabeth Moody entra negli annali nella delle madri inquietanti del cinema, seconda solamente alla fantomatica madre del Norman Bates di Psycho. Da citare anche il miglior caratterista del film, Ian Watkin, che interpreta lo zio Les.
Non si possono non citare gli effetti speciali, curati da Richard Taylor (Il Signore degli Anelli, King Kong): il trucco e gli effetti splatter sono in abbondanza, e alcuni costumi ricordano molto quelli usati in Bad Taste. Nei famosi quindici minuti finali di totale mattanza, si raggiunge l’apice dell’arte del trucco horror.
Splatters – Gli schizzacervelli (Braindead) è il miglior film splatter estremo degli anni Novanta, nonché uno dei film più innovativi di tutti i tempi, capace di far ridere, inorridire, arrabbiare, vomitare e anche, pensate un po’, commuovere. Lunga vita a re Peter Jackson!
Marco Rudel