Birdman (2014), di Alejandro González Iñárritu

Luca Buccella 23 Febbraio 2015 0
Birdman (2014), di Alejandro González Iñárritu

birdDopo essere stato famoso negli anni Novanta grazie al ruolo del supereroe Birdman, Riggan Thomson (Michael Keaton) è un attore sul viale del tramonto che tenta di portare sul palcoscenico un testo di Raymond Carver. Le difficoltà sono però dietro l’angolo, e la sua salute mentale è sempre più precaria. Riggan riuscirà a riabilitare la sua carriera e il rapporto con sua figlia Sam (Emma Stone), oppure soccomberà sotto il peso della sua passata gloria?

Durante la prima fase della sua carriera, Alejandro Gonzàlez Iñàrritu è diventato celebre grazie a film corali scritti da Guillermo Arriaga, nei quali situazioni e personaggi radicalmente differenti tra loro si mescolavano in trame incentrate sulla fragilità dei rapporti umani. Dopo l’interruzione del loro sodalizio, Arriaga ha proseguito sul medesimo percorso mentre Iñàrritu ha intrapreso una nuova via, passando a storie di singoli individui alla ricerca del proprio posto in un mondo in costante mutamento, caratterizzate da un’ampia dose di echi surrealisti e scelte registiche altamente sperimentali. In questo senso, Birdman è un naturale proseguimento del discorso cominciato in Biutiful (e che probabilmente proseguirà alla fine del 2015 con The Revenant).

Riggan Thomson si muove in un mondo in cui le star del cinema hanno due sole scelte: interpretare dei supereroi oppure finire nel dimenticatoio. Ciononostante, il film non sembra assolutamente interessato a limitarsi a una satira del blockbuster, quanto piuttosto a raccontare la storia universale di un uomo in cerca di una seconda occasione, giocando a sovvertire le aspettative degli spettatori e mettendo in discussione il ruolo dell’artista nel mondo. Visti i suoi trascorsi superomistici, Michael Keaton incarna alla perfezione il ruolo di protagonista: dimesso, ingrugnito e nevrotico, il suo Riggan Thomson è un antidivo affascinante e al contempo disgustoso.

La regia di Iñàrritu si mostra in grado di adottare toni grotteschi e sopra le righe in maniera fluida e scorrevole, riuscendo a bilanciare ottimamente le doti di ogni interprete e le molteplici sfumature dei personaggi, ben delineati in fase di sceneggiatura. A emergere sono soprattutto Edward Norton nei panni di un attore teatrale che riesce a sentirsi vivo solo sul palcoscenico – vera e propria nemesi per il protagonista – ed Emma Stone in quelli della figlia tossicodipendente di Riggan: il personaggio rischia pericolosamente di scivolare nello stereotipo in più di un’occasione, ma l’ottima recitazione della giovane attrice riesce a colpire e convincere pienamente nonostante tutto. In tutto questo, Iñàrritu e il direttore della fotografia Emmanuel Lubezki riescono a fondere armoniosamente l’immediatezza delle interpretazioni con l’estremo virtuosismo tecnico, riuscendo a illudere il pubblico di aver assistito a un piano sequenza privo d’interruzioni.

Tra una sceneggiatura notevole e una regia controllata, non mancano però i difetti: a tratti il film cede sotto il peso di una certa autoindulgenza di fondo, evidenziata da dialoghi verbosi e scene che si protraggono oltre il dovuto, soprattutto negli ultimi minuti. I numerosi messaggi che Inàrritu vuole comunicare sono ripetuti con troppa insistenza, quasi sottovalutando la capacita di comprensione del pubblico. Nonostante ciò, siamo comunque di fronte a un’opera estremamente originale, interessante e capace di provocare gli spettatori, una commedia umana a metà tra I Protagonisti di Robert Altman e una versione allucinata di Rumori fuori scena: un tipo di cinema che meriterebbe più spesso lo stesso successo di mutanti e supereroi.

Il film è uscito nelle sale italiane giovedì 5 febbraio 2015.

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