Dogville (2003), di Lars Von Trier

Luca Buccella 7 Novembre 2003 0
Dogville (2003), di Lars Von Trier

dogville_ver3_xlgLars Von Trier è sempre stato un autore controverso, un provocatore nato, spesso definito misogino, egocentrico ed arrogante dai più, ma altrettanto amato da gran parte della critica per la ricchezza sia tematica che estetica delle sue opere. In un film come Dogville sono contenute tutte le definizioni che negli anni sono state attribuite al cinema di questo regista.

L’incontro fra Grace, in fuga da un gruppo di gangster, e gli abitanti del villagio di Dogville, che le offrono riparo in cambio di lavoro, è ambientata in uno scarno teatro di posa privo di scenografie, con righe bianche e scritte tracciate in terra a delimitare le strade e le abitazioni della piccola cittadina americana in cui si dipana la storia: l’attenzione degli spettatori è in questo modo libera di concentrarsi solo ed esclusivamente sugli interpreti, e sui significati tematici del film.

L’atmosfera pacifica in cui il paesino è immerso nelle prime settimane diviene sempre più opprimente: gli abitanti comprendono il potere che hanno su Grace, e iniziano a sfruttarla in maniera sempre più estrema. L’arrivo dello straniero rivela la vera natura di queste persone, e il piccolo paesino diventa uno specchio per raccontarci il modo in cui Von Trier vede l’umanità: c’è una malignità recondita in ognuno, ed essa aspetta solo un’occasione per emergere. Persino il personaggio del giovane Tom, apparentemente il più comprensivo, non fa altro che sfruttare gli accadimenti per scrivere un romanzo, si dichiara innamorato di Grace ma in realtà vuole solo “possederla”. E la stessa Grace, innocente e disposta al perdono, nel devastante finale viene corrotta dalla crudeltà che le è stata inferta, tramutandosi da agnello sacrificale ad angelo vendicatore.

Le riprese furono distruttive per gli attori, costretti da Von Trier a rimanere nei personaggi per ore: questa devastazione psicologica ha in tutto e per tutto giovato al film. La Kidman fornisce una delle sue migliori prove nei panni di Grace, così come Paul Bettany nei panni di Tom e tutti i caratteristi, da un immenso Stellan Skarsgard a un’intensa e nervosa Patricia Clarkson, per arrivare a Ben Gazzara nei panni di un’anziano non vedente che tenta di nascondere la sua condizione, uno dei personaggi più enigmatici dell’opera. C’è posto anche per una leggenda come Lauren Bacall, che quando compare domina la scena. La macchina da presa a spalla di Von Trier insegue gli interpreti con movimenti rapidi e nervosi, che rendono l’atmosfera opprimente e ammantano il tutto di una crescente tensione.

Gli osservatori più superficiali si sono limitati a vedere Dogville come un film antiamericano, cadendo nell’inganno dell’autore, che ha fatto di tutto per farlo apparire tale: Dogville però non rappresenta l’America, ma il mondo intero visto da Von Trier. E, considerando l’immenso potere di cui Grace viene investita negli ultimi minuti, definire misogino il cinema di questo regista è una banalizzazione enorme.

Luca Buccella

Leave A Response »