- Sorg og glæde
- Acrid
Continuiamo con le nostre piccole recensioni di alcuni dei film presenti in questa ottava edizione del Festival Internazionale del Film di Roma.
Sorg og glæde (2013) di Nils Malmros – In Concorso
Tornato a casa dopo una conferenza, il regista Johannes (Jakob Cedergren) si trova di fronte a una terribile tragedia: la moglie Signe (Helle Falagrid), depressa da mesi, ha ucciso la figlia di nove mesi con un coltello da cucina. Tentando di proteggere sua moglie dalla severa condanna che l’attende, Johannes cerca di ripercorrere i motivi che hanno portato al tragico evento durante una seduta con lo psichiatra che si occupa del caso. Pur ispirandosi a una vicenda autobiografica, il regista danese Nils Malmros non riesce a trovare il giusto tono per il suo film, anche a causa di un gruppo di protagonisti poco calati nelle rispettive parti. Sostanzialmente, il film bandisce qualsiasi tipo di immedesimazione emotiva con il pubblico, raccontando una serie di tragedie con uno stile inerte e poco incisivo che non restituisce la giusta energia ai fatti narrati: abbiamo un protagonista che affronta la perdita di una figlia come se gli fosse morto il gatto, già prontissimo a proferire battutine poche ore dopo la tragedia; e una figura femminile il cui dramma rimane perennemente in superficie, mai scavato fino in fondo. A tutto questo, aggiungiamo un intreccio gestito in maniera vergognosa (tra psicologia spicciola e luoghi comuni come il regista attratto dalla giovane attrice di turno che trascura la famiglia) e una fotografia televisiva, nell’accezione negativa del termine. Ancora una volta ci chiediamo: cosa ci fa in concorso un film simile?
Acrid (2013) di Kiarash Asadizadeh – In Concorso
Dopo il premio Oscar Una separazione di Asgar Farhadi, il cinema iraniano continua a riflettere sulle caducità delle relazioni amorose. Con la sua opera prima, l’esordiente Kiarash Asadizadeh mira a comporre un affresco umano che illustri ogni fase di un rapporto: e così, abbiamo sia coppie sposate da diversi anni che rischiano di crollare, sia giovani che si approcciano a esperienze complesse per la prima volta. Il punto di vista di Asadizadeh è prettamente femminile: sono le donne il principale oggetto della sua analisi, costrette a convivere con uomini che le svalutano e le sfruttano. Il regista sembra comprendere a pieno questa condizione e inquadra le sue protagoniste con grandissimo rispetto, permeando invece di disgusto i ritratti maschili. Il film presenta un’interessante costruzione circolare che presenta pian piano personaggi collegati da legami di diverso tipo, offrendo il punto di vista di ognuno in maniera onesta. Acrid è dunque un’opera interessante e complessa, che procede con un ritmo lento e incisivo, privo di retorica nonostante a tratti appaia un po’ troppo programmatico nelle sue tesi. Molto efficaci le interpreti, che speriamo possano conquistarsi qualche premio: una su tutti, l’ottima Mahsa Alafar, protagonista della parte migliore del film.
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Luca Buccella