Il vampiro Edward e l’umana Bella celebrano il loro matrimonio. Proprio quando tutto sembra andare per il verso giusto, Bella rimane incinta: il bambino metà umano e metà vampiro che porta in grembo rischia di ucciderla, e di distruggere la tregua fra vampiri e lupi…
Era il 2008 quando il primo capitolo della saga dei vampiri luccicanti creati da Stephenie Meyer invadeva le sale mondiali. Sono passati tre anni, e poco dopo il termine di un’altra saga seguitissima, quella di Harry Potter, il “fenomeno” Twilight giunge finalmente alla tanto attesa conclusione, ma lo fa a metà. Proprio come l’ultimo episodio della saga del maghetto, anche Breaking Dawn arriva nelle sale diviso in due capitoli.
Una scelta che porta con sé molti dubbi: se I doni della morte era un libro denso di avvenimenti complessi, l’ultimo romanzo della saga di Twilight non è altrettanto ricco di materiale, conseguentemente la divisione ha comportato una necessaria dilatazione del materiale di base, portando a scelte poco riflettute e inutili ai fini del racconto. Si pensi soltanto alla quantità di flashback, che trattano spesso avvenimenti appena conclusi, e ai numerosi momenti che vedono i protagonisti esibirsi in smorfie sofferte con canzoni sciroppose in sottofondo, scene inserite con il solo scopo di aumentare il minutaggio finale.
Se nei film precedenti, Catherine Hardwicke, Chris Weitz e David Slade tentavano (senza successo) di raggiungere un equilibrio fra le loro esigenze e quelle dei produttori, Bill Condon è il prototipo del regista-burattino: non c’è un’inquadratura che sembri pensata o riflettuta, e gli attori sono lasciati totalmente a se stessi. Tra un Robert Pattinson che si mostra sempre più inespressivo e incapace, e una Kristen Stewart che pare rimpiangere i tempi di Into the wild, il niente affatto straordinario Taylor Lautner fa la figura dell’attore navigato. Non c’è nemmeno un interprete che sembri davvero credere nelle battute che pronuncia (e come biasimarli?), se si escludono la sempre straordinaria Anna Kendrick – purtroppo relegata ad una brevissima apparizione – e Billy Burke – convincente e convinto nei panni del padre di Bella. I membri della famiglia Cullen e della comunità dei lupi mannari appaiono sempre più insignificanti e inutili – della serie “a che serve approfondirli, se c’è un libro intero che lo fa” -, si aggiunge a ciò un’infinità di personaggi assolutamente di contorno, inseriti solo ed esclusivamente per compiacere l’orda di fans, ma senza una vera e propria utilità nell’economia del film. E si arriva a quello che è il vero problema di questa saga: la difficoltà mostrata dalla sceneggiatrice Melissa Rosenberg nell’adattare il materiale di partenza, a causa del timore assoluto di scontentare gli appasionati. Il film in questione, dunque, non è un adattamento, ma una semplice copia carbone “espansa” del romanzo.
Anche gli altri aspetti del film vengono abbassati ai minimi storici, con grandi artisti trasformati in semplici mestieranti: la colonna sonora del coeniano Carter Burwell, uno dei migliori compositori viventi, è ai livelli di una soap opera, mentre Guillermo Navarro, direttore della fotografia di pellicole come Jackie Brown e Il labirinto del fauno, pare voler girare una spot televisivo di divani.
Non resta che aspettare il prossimo novembre, con la flebile speranza che i produttori, il regista, e la sceneggiatrice decidano di girare un vero film e non un fotoromanzo.
La recensione è apparsa originariamente su:
Luca Buccella