Duel (1971), di Steven Spielberg

Supremo 28 Ottobre 2013 0
Duel (1971), di Steven Spielberg

duelSolamente un paio di sorpassi e nemmeno troppo azzardati: questo l’unico motivo per cui un automobilista si ritrova ad essere perseguitato da un camionista folle che farà di tutto per ucciderlo. Girato in soli dieci giorni, il primo lungometraggio cinematografico di Steven Spielberg è un film essenziale, basato su uno spunto semplice ed efficace, dal sapore hitchcockiano: l’innocente ingiustamente perseguitato.

Rivedere oggi questo film del 1971 e constatare tutta la forza che esercita sullo spettatore, significa contemplare il talento di Spielberg in uno stadio nel quale è forse osservabile nel modo più chiaro e sorprendente, laddove nei film successivi e più celebrati del regista, la ricchezza di mezzi e dei soggetti subordinano al servizio di altri elementi quelle scelte registiche che qui invece reggono il film in modo sensibile. Spielberg e Matheson alternano momenti di pura azione mozzafiato in cui lo spietato camionista cerca in tutti i modi possibili di travolgere l’auto dello sfortunato commesso viaggiatore, a scene maggiormente riflessive, nelle quali il protagonista cerca invano di comprendere appieno quanto stia accadendo, nonché di conoscere il volto del suo carnefice: entrambe queste soluzioni gli saranno negate.

Le scene d’azione, pur riproponendo sempre lo stesso schema della caccia del gatto con il topo, non cadono mai nella ripetizione sia per le diverse dinamiche fisiche che lo scontro assume di volta in volta, sia per il progressivo cambiamento psicologico del protagonista, all’inizio semplicemente desideroso di liberarsi del suo molestatore, ma poi sempre più impelagato in un conflitto inspiegabile dal quale non può più uscire senza essere andato fino in fondo. Nei momenti in cui al protagonista viene concessa tregua, egli raccoglie le forze, si interroga sul dramma che sta vivendo. Spielberg rivela diverse sottigliezze registiche, come nella scena della sosta al bar, dove diversi movimenti di macchina passano in rassegna i camionisti seduti al bancone, sottolineando la bramosia del protagonista di comprendere chi di loro sia il suo tormentatore, mentre l’autocisterna, parcheggiata al di fuori e visibile attraverso la finestra del locale, punteggia drammaticamente diverse inquadrature come elemento dello sfondo, al momento innocua ma pronta nuovamente a colpire.

Duel è soprattutto la storia di un uomo che deve affrontare i propri fantasmi e vincere le proprie debolezze. Al telefono con la moglie, egli viene infatti rimproverato di non essersi fatto valere la sera precedente ad una festa, non difendendo la donna da una persona che le avrebbe mancato di rispetto. Una mancanza di virilità è dunque lo stato di debolezza in cui il protagonista si trova nel momento in cui l’imprevisto piomba su di lui assorbendo le sue paure e le sue angosce. Il carnefice non ha volto perché incarna i fantasmi dello stesso protagonista e questi riuscirà ad avere la meglio solo attraverso un gesto che, simbolicamente, rappresenta il coraggio di sacrificare la propria identità. Ma il lavoro di Spielberg è apprezzabile soprattutto nell’orchestrazione del ritmo e sulla ridefinizione dello spazio, in un thriller minimalista dove ogni elemento si trasfigura partecipando alla metafora, a cominciare dalle sconfinate strade del Nevada che a poco a poco divengono inesorabilmente uno dei luoghi più asfissianti e claustrofobici della storia del cinema.

Giacomo Fiorani

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