Messico, fine anni ’70. Pedro (Julio Aleman) è un camionista che lavora con il suo amico Mario, trasportando generi alimentari fino al confine messicano. Durante uno dei loro viaggi di lavoro, Mario è coinvolto all’insaputa di Pedro in un traffico di sostanze stupefacenti, e a causa dei suoi debiti di gioco con la mala messicana si trova costretto a nascondere della droga in una cassetta di frutta. Una soffiata fatta alla polizia farà circondare il camion non solo dalla polizia, ma anche dal cartello messicano che non vuole lasciare vivi testimoni: Mario verrà ucciso dai malavitosi, mentre Pedro, braccato sia dalla legge sia dalla criminalità, dovrà spingersi oltre le fiamme dell’inferno per provare la sua innocenza e vendicare la morte del suo amico.
Pedro el de Guadalajara (questo il titolo originale) è davvero uno di quei film capaci di provocare pesanti coliche. Un ridicolo ibrido tra il più abusato dei film d’azione statunitensi, con il protagonista buono incastrato in un giro di droga, e una telenovela messicana priva di senso logico, in cui risulta davvero impossibile comprendere alcuni passaggi narrativi. Il regista Sergio Vejar, scomparso nel 2009, ha dalla sua parte una grandissima esperienza, con oltre 50 film tutti realizzati in Messico, e nel corso della sua carriera ha ricoperto ogni ruolo, da produttore a operatore di macchina: purtroppo in questo film le sue vaste competenze risultano inutili.
Il tentativo di rappresentare una realtà controllata dalla malavita, in cui la legge è spessa implicata con gli stessi spacciatori a cui dovrebbe dare la caccia, è spesso interrotto da assurdi stacchi musicali, nei quali i protagonisti Pedro e Camelia (Rosenda Bernal) tentano inutilmente di intrattenere lo spettatore, finendo invece per torturarlo. Questi ridicoli siparietti allentano la narrazione, e operano un taglio netto all’apparente serietà di un film che sprofonda ancora di più nel ridicolo nelle scene romantiche tra i due protagonisti: queste sono accentuate da musiche soffuse provenienti dalle più famose e strazianti telenovelas messicane (Guadalupe – Il segreto della nostra vita, Cielo Rojo).
A livello tecnico il film si salva grazie ad alcune inquadrature grammaticalmente corrette, ma il resto è tutto da buttare: sembra quasi che il montatore abbia dimenticato di inserire alcune scene, rendendo incomprensibili alcuni passaggi della storia e fallendo nel rappresentare le scene d’azione in maniera scorrevole. Anche la fotografia rimanda alle telenovelas messicane già citate: immagine sovraesposta, con la luce che riverbera ovunque negli ambienti. A causa anche del deterioramento della pellicola, a tratti il film si tinge di rosa, suscitando lo sdegno degli spettatori amanti della buona fotografia. Oltre ai già citati intermezzi musicali diegetici, anche il commento extradiegetico è davvero orribile: un misto tra le campionature delle console di videogiochi in voga in quegli anni, e le fastidiosissime melodie già accennate.
Cosa si salva in Hot Truck? Le belle interpretazioni canore di Rosenda Bernal, decisamente migliore come cantante che come attrice, e il convincente Julio Aleman, nonostante il personaggio di Mariachi con la chitarra appaia poco credibile a causa dell’età troppo avanzata. Il finale è inaspettato, ma la morale è trita e ritrita, presente in quasi tutti i polizieschi dove l’eroe della storia si trova da solo contro tutti.
Vi chiederete cosa ci abbia spinti a voler recensire questo film: la risposta è che un dvd al prezzo di 70 centesimi non poteva sfuggirci. Dopo averlo visto, siamo lieti di inserirlo tra i peggiori b movies della nostra rubrica.
Marco Rudel