Secondo film appartenente alla trilogia di Er Monnezza (Tomas Milian), diretto questa volta da Stelvio Massi, al posto di Umberto Lenzi che firmò i restanti episodi, Il trucido e lo sbirro (1976), e La banda del gobbo (1977).
Siamo a Roma, la malavita è sempre più feroce: batterie di due o tre uomini si riuniscono per organizzare rapine e sequestri, lasciandosi dietro morti e feriti. Sulla scia di sangue che ricopre le strade della capitale, il commissario Ghini (Luc Merenda) fa quello che può per arginare la potente ondata criminale, ma i mezzi messi a disposizione dal questore Alberti (Mario Brega) sono scarsi.
Sul versante opposto, un sanguinario rapinatore siciliano di nome Belli (Elio Zamuto) giunge a Roma per formare una squadra d’assalto a un carico di gioielli, ed essendo sprovvisto di un autista chiede aiuto a Sergio Marazzi (detto Er Monnezza), un criminale rimasto fedele alle vecchie tradizioni di ladro senza violenza che, ormai ritiratosi dal giro grosso, ha aperto un ristorante dal colorito nome di La Pernacchia: Er Monnezza non ha però rinunciato a impartire lezioni di furto e scippo a una strampalata banda di trucidi che si fa chiamare F.I.G.A. (Federazione Italiana Gratta Antiviolenza).La situazione degenera quando Belli, sotto gli occhi di Ranocchia (Paolo Bonetti) – l’uomo “prestato” da Er Monnezza – scatena una sparatoria contro l’auto che trasporta i gioielli disobbedendo ai principi morali della F.I.G.A.
Stelvio Massi dirige un poliziesco condito da un umorismo greve che risiede tutto nella maschera comica di Tomas Milian, vero saltimbanco del film, intenzionato a smorzare i temi duri che il regista vuole trattare. La regia è di tutt’altra scuola rispetto al cinema italiano contemporaneo: ottima padronanza dello zoom, panoramiche eseguite con il dolly e uno stile davvero elaborato che ha appassionato registi d’oltreoceano (uno su tutti Quentin Tarantino, grande estimatore del poliziesco all’italiana). La sceneggiatura – firmata da Elisa Livia Briganti, Stelvio Massi e Dardano Sacchetti – è colma di elementi inseriti principalmente per diversificare una trama già affrontata da altre pellicole dello stesso genere.
La storia vede protagonisti tre archetipi: il poliziotto senza macchia e senza paura, il ladro buono e il cattivo senza scrupoli. L’elemento che trasforma il classico poliziesco in un film ricco situazioni comiche, grottesche ed esageratamente volgari è senza dubbio l’interpretazione di Tomas Milian (e il doppiaggio dell’immenso Ferruccio Amendola) che traghetta il film in un’oasi d’ilarità gratuita, riuscendo anche a sprigionare autentiche perle di saggezza e insegnamenti di vita non sempre colti in mezzo alla rudezza dei dialoghi: l’attore non risulta accreditato nella sceneggiatura, sebbene avesse scritto tutte le battute del suo personaggio. Milian è entrato nella leggenda del trash romano con battute, monologhi e filastrocche che ancora oggi si ripetono nelle osterie e nei bar della città capitolina.
Il resto del cast è di livello: Luc Merenda, già veterano di molti polizieschi degli anni 70, dimostra di essere un ottimo attore, mentre Mario Brega risulta credibile nelle vesti insolite del questore Alberti. Indimenticabile la partecipazione di Franco Citti (Accattone, 1961) nelle vesti di un criminale della malavita romana.
La canzone La ballata del trucido di Giorgio Cascio è il simbolo di una generazione che ha provato (e forse prova ancora) un certo fascino per la delinquenza bonaria di Er Monnezza, ma che nella vita reale ha vissuto il terrore degli anni di piombo. La banda del trucido è un tentativo di raccontare gli anni oscuri in cui la malavita romana regnava incontrastata e la polizia brancolava nel buio, e senza speranza è il messaggio conclusivo del film: tra la delinquenza spicciola e la ferocia assassina dei banditi armati di mitra è meglio il male minore. Una triste realtà.
Marco Rudel