Lezioni di piano (1993), di Jane Campion

Luca Buccella 4 Marzo 1993 0
Lezioni di piano (1993), di Jane Campion

199e0b4c59f0cd28b8464dff909e0a2e_GenericJane Campion è sicuramente una degli autori più significativi degli ultimi vent’anni, nonchè, insieme a Kathryn Bigelow, l’autrice moderna più rappresentativa in un’industria in cui, vergognosamente, il divario tra i sessi non è stato ancora superato del tutto. Lezioni di piano è senza alcun dubbio la pellicola più importante (anche grazie alla Palma ricevuta a Cannes nel ’93) all’interno della filmografia della Campion.

Un film che racconta della possibilità di liberarsi e di rinascere – spiritualmente, ma in questo caso anche sessualmente – all’interno di un’ambiente ostile. In questo, la Nuova Zelanda paludosa e inesplorata non è distante dalle ostili brughiere dei romanzi delle sorelle Brontë.

L’intreccio è dei più semplici: una donna viene spedita dal padre in una terra sconosciuta insieme a sua figlia, per sposare un uomo mai visto prima, si innamorerà di un altro e verrà punita dal marito. A rendere nuovo il tutto è il fatto che la protagonista Ada sia muta dall’età di sei anni, per ragioni che nemmeno lei ricorda. Questo mutismo può essere eletto a simbolo del silenzio a cui il sesso femminile è stato costretto per secoli, e all’impossibilità di espressione a cui le donne erano ridotte nell’epoca vittoriana in cui si svolge il film. Non è un caso che, appena giunta dal marito, egli privi Ada del suo prezioso pianoforte, non comprendendo il significato che ha per lei. L’unico mezzo con cui Ada riesce a “comunicarsi” al mondo è proprio quel piano, e la struggente musica che lei compone è il suo personale linguaggio, l’unico modo in cui riesca a sentirsi partecipe della sua vita. L’unica altra possibilità per esprimersi è la figlia, che però è ancora bloccata dall’infanzia. La liberazione dalla società è un altro tema importante: la passione inizialmente solo fisica vissuta con Baines, un uomo illetterato vissuto coi Maori, si trasforma in un amore liberatorio che diventa per Ada un nuovo modo per affermare se stessa.

Un film che non sarebbe lo stesso senza il decisivo apporto del cast, su tutti Holly Hunter e Anna Paquin, entrambe giustamente ricompensate con l’Oscar. La Hunter incarna Ada, regalando un’interpretazione fatta di microscopici cambiamenti nell’espressione, di piccole variazioni quasi impercettibili, che ci comunicano i pensieri della protagonista. La piccola Anna Paquin, oggi attrice di successo, riesce a controllarsi e a dimostrarsi padrona del suo personaggio: è fantastico rendersi conto di quanto questa figura sia complessa e stratificata, trattata con lo stesso rispetto dei protagonisti adulti. Molto bravi anche Sam Neill e Harvey Keitel, il primo dona la giusta severità a un uomo convinto di fare del suo meglio, ma incapace di relazionarsi col prossimo, e il secondo riesce a restituire l’apparenza rozza e l’animo sensibile di Baines.

Merita particolare attenzione un altro fondamentale protagonista: la colonna sonora di Michael Nyman, forse l’elemento che più contribuisce a elevare il film al rango di capolavoro.

Luca Buccella

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